Blog indipendente di critica sugli artifizi semantici del regime. Fino a che significherà qualcosa, l’autore invoca la protezione dell’art. 21 della Costituzione Italiana.

La quinta colonna del neoliberismo o come colonizzare la verità

Come districarsi nella pervasiva e onnipresente finzione di verità attraverso gli strumenti del pensiero critico, dell’esercizio del dubbio, del quadrato di veridizione e infine del potente e infallibile test WONKA.

19 marzo 2022

Parto dal punto più fermo: la verità esiste. Ma esiste solo per chi la vuole. E chi la vuole la cerca. E chi la cerca si accolla la fatica della ricerca. E la fatica, specialmente senza ritorno pratico, non piace a nessuno, appare sprecata.
Ma la verità esiste, è quello che è, avrebbe detto Lenny Bruce [1], e può essere seppellita da meme, oscurata da cortine ideologiche, resa inaccessibile attraverso l’istupidimento delle masse, spedita nel territorio dell’opinione o del mito grazie all’impoverimento culturale e perfino strumentalizzata in modo proditorio ed essere utilizzata come menzogna per negare se stessa. Il problema con la verità è che se anche non la vuoi quella non smette di esserci; se non ti piace, se ti fa male, se è contro i tuoi interessi o anche se pensi di avere diritti su di essa, quella non cambia, non ti viene incontro, non indulge e nemmeno accetta il confronto. Non la seduci con la tua personalità o con le referenze dei vip. Quella ti aspetta dall’altra parte con la faccia di uno che non puoi prendere più per il culo, io lo chiamo effetto WONKA e ha questa faccia qui:

Un esempio di verità: il “vaccino”, impropriamente detto, è un farmaco sperimentale di cui non si conoscono gli effetti a medio e lungo termine, che non immunizza, e che non cura meglio di altre terapie la malattia che dovrebbe debellare: il 90% degli italiani se lo è iniettato perché il governo l’ha imposto.

Un altro? Un vaccinato è, dal punto di vista fisiologico, una cavia che è stata sottoposta a un trattamento sanitario che nella migliore delle ipotesi lo ha lasciato nello stesso stato di salute in cui già versava, quindi non gli ha arrecato nessun reale beneficio, con l’aggiunta però dell’incognita di effetti sconosciuti in futuro. Nella migliore delle ipotesi.

Come si fa a nascondere una cosa così ingombrante come la verità? Mettendola in bella vista, come su un carro allegorico, montandole attorno una gran confusione distraente: tutti guarderanno le ballerine, i coriandoli, i festoni, sentiranno la musica e applaudiranno alla creatività dei progettisti che con cartapesta colorata hanno reso così interessante ed emozionante un’ovvietà. E quella intanto ti sfila accanto lasciandoti un paio di caramelle in mano, se sei stato svelto. È già in fondo alla strada, volta l’angolo e non te la ricordi più. Nessuno può sentire la responsabilità di dire la verità in un contesto in cui dire una menzogna sortisce lo stesso effetto, esercita la stessa funzione e si rivela della stessa utilità, il tutto allo stesso costo.

 “È come se la lingua fosse stata svuotata della sua capacità di produrre significato a fronte di una verità fattuale, somiglia a una moneta privata del corrispettivo aureo. Le parole circolano e i tassi di cambio fluttuano. Il valore di uno scambio e di un dialogo, di un dibattito e di una transazione di conoscenza tra soggetti non ha più vincoli da osservare, non esiste uno standard di significato e di responsabilità verso una montagna di lingotti di verità in un caveau alla banca centrale. 

La verità non è commercializzabile, la produzione è costosa e il mercato di riferimento una nicchia poco interessante. La comunicazione linguistica non è più strumento di passaggio di conoscenza e confronto dialettico bensì un sistema mercatoformante attraverso il quale plasmare il pubblico e indirizzarlo ai settori di mercato in cui si vuole accrescere il consumo.

Cosa resta per chi ha sprecato risorse cognitive e didattiche nel rendersi capace di discernere la verità del “trattore a diesel agricolo che trascina il carro allegorico”? Di fatto, niente, è come conoscere una lingua morta: puoi fare qualche citazione dotta, invisa ai più, o avviare qualche ragionamento dall’etimologia di un termine. Forse riconoscere qualche pianta dal nome scientifico. Tutto qui. Un esercizio di veridizione superfluo, come quelli che facevo in semiotica all’università [2], con i miei quadratini che permettevano di distinguere le verità dalle bugie, i buoni dai cattivi, il bene dal male.

La verità è un esercizio superfluo. Gratificante solo per chi lo realizza, perfino un po’ narcisistico. Siamo d’accordo, a me piace farlo così. Parto sempre da qui

Una fallacia logica è un errore vizioso di ragionamento. Le usa chi parla con voi e vuole avere ragione, magari convincervi a fare qualcosa. Saper comprendere e riconoscere questi trucchi retorici è quello che impariamo dal relazionarci con i nostri compagni a scuola (non in DAD). Le fallacie sono gli antigeni del pensiero, ci proteggono e ci immunizzano dal venire manipolati e condizionati attraverso il linguaggio.

Un esempio: guardate questo video in cui Giannini, direttore della Stampa, invece di dimettersi per una prima pagina di disinformazione e propaganda leggendaria, finisce per farsi passare da vittima. Elenco qui di sotto le fallacie che utilizza (e faccio notare che l’intervento nella totalità è già un’unica fallacia, denominata tu quoque):

  • incredulità personale
  • carovana
  • spaventapasseri
  • nessun vero calabrese
  • ambiguità
  • composizione/divisione
  • appello alla Natura
  • fallacia aneddotica
  • preghiera speciale
  • terreno di mezzo
  • genetica
  • tu quoque
  • il cecchino texano
  • onere della prova
  • appello all’emozione
  • fallacia ricorsiva

Come vedete Giannini utilizza tutto il repertorio, ornandolo con quel “i miserabili del web” che costituisce un valore aggiunto. Quando assisto a uno spettacolo del genere, in cui un professionista dell’informazione ridicolizza se stesso e la categoria per salvarsi il culo, comprendo subito dove sta la verità. È in quello che non ha detto e non ha fatto, nella reazione che è stata sostituita dal turbinio di fallacie e che si può sintetizzare in una pubblica ammissione di colpa e in un’assunzione di responsabilità.

In pratica, la verità è nell’evidenza che si cerca di negare. Il carro allegorico. Per informarsi con onestà occorre partire, di questi tempi, da una faticosa analisi critica inversa e fare nel proprio tempo libero e con strumenti come il web (miserabili!) quello che i media dovrebbero offrire come servizio ontologico. Fino a che, nella medesima situazione, il Giannini di turno non andrà in tv a scusarsi con reale contrizione e a rimettersi al giudizio deontologico e del pubblico, tutto quello che quelli come noi possono fare è rimanere in assetto Wonka.

[1] The Truth Is, What Is, Lenny Bruce.
[2] Quadrato di veridizione, da wiki.

DisSENSO ha scelto la piattaforma KO-FI per autofinanziarsi grazie a voi.
Al link ko-fi.com/dissensoresistenzasemantica è possibile eseguire una donazione estemporanea, effettuare una donazione ricorrente, sottoscrivere un abbonamento mensile e anche acquistare a prezzo simbolico materiali e contenuti pertinenti.

Grazie per il tuo prezioso dissenso.

All contents created by Daniele Prati and licensed under Creative Commons CC BY 4.0.

made with love for justice by

×
×

Basket