Blog indipendente di critica sugli artifizi semantici del regime. Fino a che significherà qualcosa, l’autore invoca la protezione dell’art. 21 della Costituzione Italiana.

La catena corta della verità

Perché non facciamo della blockchain un codice deontologico per chiunque abbia ruoli pubblici? Qual è lo NFT generato dalla blockchain pandemica e di chi è il culo che l’ha cagata all’inizio della catena? Soprattutto, sarà possibile avere una vita vera e di valore senza doverla autenticare tramite una blockchain o la digitalizzazione ossessiva ci condurrà alla perdita dell’identità umana?

23 gennaio 2022

Non so se posso dire di aver davvero capito cosa sia una blockchain però mi sono fatto quest’idea: si crea un processo retroattivo di autenticazione di un dato o di un oggetto basato su una struttura ad anelli concatenati che garantirà più autenticità e valore quanto più sarà lunga.  Il paradigma della blockchain è attualmente alla base del processo di digitalizzazione, che a sua volta sta coinvolgendo ogni aspetto delle nostre vite e della nostra società. Vale la pena approfondire: l’applicazione della blockchain più facile da analizzare, almeno per me, è quella legata all’arte digitale, o come si dice ora, degli NFT.

Funziona più o meno così: io sono un artista o un produttore di contenuti originali e ho appena creato un video animato con alcune mie illustrazioni e perfino musiche. Se pubblicassi questa mia opera sul web è molto probabile che in pochi istanti verrebbe ricondivisa, editata, modificata e utilizzata senza attribuzione né tantomeno retribuzione. Cosa posso fare quindi per impossessarmi dei diritti di sfruttamento della mia stessa opera? Come faccio ad autenticare un’opera facilmente riproducibile in un attimo da chiunque abbia un dispositivo digitale? La risposta è: la proteggo inserendola in una catena di dichiarazione di proprietà (intellettuale) sottoscritte e ratificate da un soggetto sempre superiore e più autorevole.

Ad esempio: il collettivo artistico a cui appartengo appone un “timbro” digitale (un codice) sulla mia opera dichiarando che è informato e consapevole che appartiene a me. La mia opera, con il timbro del collettivo, arriva in un’agenzia d’arte, che vedendo il mio codice e quello del collettivo, aggiunge il suo stesso codice e un anello di rinforzo ulteriore all’autenticità e alla paternità della mia creazione. Il passaggio si ripete per decine e decine di volte e a un certo punto avremo una blockchain lunghissima di autenticazione che garantisce il valore dell’opera ma di cui non conosciamo tutti gli anelli.

Dove viene generato il valore?
Non si può aggiungere un anello alla catena che non sia collegato al precedente in modo univoco ed esclusivo, che a sua volta sarà collegato al precedente nello stesso modo, e così “a catena” fino al dato od oggetto originario, di cui viene così ratificata l’assoluta autenticità e valore. La protezione e la garanzia dei contenuti nella catena sono quindi generati dagli stretti nessi passati tra un anello e l’altro.

Sileri affermava in Parlamento che dire che “un vaccinato contagia e si contagia è una bugia, una falsità”. Mesi dopo è andato in tv a dire candidamente che non è vero che lui abbia mai sostenuto che il vaccino immunizzasse e che si è sempre saputo che non lo fa. Burioni cinguettava che sostenere che il virus fosse stato creato in laboratorio era da stupidi. Draghi diceva da Presidente del Consiglio che “non vaccinarsi significa morire e fare morire” e che “il green pass dà la garanzia di stare in luoghi in cui non circola il virus”. Gli attributi del “vaccino”, la soglia della presunta immunità di gregge, la severità e la frequenza di DPCM e Decreti Legge, hanno tutti lo stesso aspetto: un elenco, anzi una catena, di elementi  falsi però supportati e validati da un insieme di autorità e attori incuranti della contraddittorietà tra loro stessi.

L’analogia tra propaganda/psicosi e blockchain scatta proprio qui: se Draghi, o Sileri, o Burioni o uno qualunque di questi che da mesi affermano tutto e il suo contrario, impunemente e indifferentemente, fossero invece sottoposti a un sistema blockchain di verificazione e attribuzione di responsabilità dei loro atti e dichiarazioni – quello che per le persone normali è la coscienza o l’onestà intellettuale – il sistema potrebbe autoproteggersi da solo da falsificazioni, plagi e utilizzi non autorizzati. Temo però che la transizione digitale che hanno in mente non sia orientata a fare questo uso degli strumenti come la blockchain.

Se stiamo parlando di un bene immateriale digitale (tipo un’animazione, una canzone, un’illustrazione) il cui valore è dato dalla catena di garanzie di autenticità e di proprietà che risale fino al creatore, allora significa che anche se l’opera è una cagata, seguire le orme a ritroso fino al buco di culo da cui è uscita la rende originale. E ancora fumante. Credo abbia la stessa idea anche Brian Eno, sebbene si sia espresso molto più elegantemente.

Ogni sistema ha una debolezza e quella della blockchain credo sia nella sua stessa natura di strumento artificiale di creazione di valore. Quando la catena sarà diventata molto lunga, già da tempo gli anelli più recenti avranno perso di interesse nel verificare il contenuto dei primissimi anelli e si saranno limitati ad aggiungere il proprio anello alla “forma” della catena, e non alla sua “sostanza”. È in pratica quello che è successo con la bolla finanziaria dei subprime del 2006 negli USA. Vi metto questo video da The Big Short (2015) che spiega la cosa meglio di come potrei fare io.

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