Blog indipendente di critica sugli artifizi semantici del regime. Fino a che significherà qualcosa, l’autore invoca la protezione dell’art. 21 della Costituzione Italiana.
Un’indagine intellettuale e personale, se non altro perché l’intelletto usato è il mio, sul significato e sull’origine dell’ideologia woke e su dove alberghi il suo cuore oscuro, e anche su come continui ancora ad affascinare e corrompere la società (e pure me in passato).
Sembra che finalmente il nemico abbia un nome, di facile conversione in hashtag e di cortezza ideale per i titolisti: woke. Non mi piace utilizzare parole straniere, proprio perché è una pratica tipicamente woke, ma questa volta lo farò come concessione al nemico, dato che mi sto spingendo nel suo territorio. Prima di questi nostri tempi difficili, woke era stata chiamata con altri nomi come buonismo, politically correct, “qualcosa di sinistra” (cit.)… dopo il triennio “pandemico” però, forse a causa dell’innalzamento della pressione mediatica, della manipolazione cognitiva sulla massa e della sovraesposizione, anche alle critiche e al dissenso, dei propugnatori di diverso grado gerarchico di questa ideologia, si è giunti all’etichetta woke.
Woke è un termine dall’area semantica ampia e sfaccettata, quindi magari è meglio prendere avvio da una definizione chiara, seppur comunque approssimativa: woke indica, in parole mie, un insieme di argomenti e atteggiamenti ideologici adottato da una parte del pubblico, solitamente afferente all’area politica democratica (nell’accezione occidentale anglofona, i dem americani), propugnato e incoraggiato nel popolo di uno Stato occidentale moderno al fine di pilotare l’opinione pubblica su temi e agenda funzionale agli interessi delle élite che lo diffondono e promuovono. Mi sono appena accorto di aver scritto la definizione di propaganda, quindi credo di poterla più semplicemente chiamare proprio così: propaganda liberal-progressista.
Sono aspetti della woke fenomeni come la cancel culture, i dibattiti isterici sull’identità di genere, le rivendicazioni posticce dei diritti della comunità LGBTQ+ (non so per cosa stia il +), la questione climatica, l’antifascismo, l’aborto, l’eutanasia, la sostenibilità, le energie rinnovabili, le macchine elettriche, il riciclo dei rifiuti, l’abuso di plastica, il bullismo e tante altre questioni che dividono, almeno apparentemente, l’opinione pubblica. Non mi interessa entrare nel merito delle singole questioni. Questo blog ha infatti una vocazione semantica e il mio obiettivo è una comprensione del processo di creazione del significato che sottende alla woke. Per questo partirò da un esempio concreto e prossimo a me: come questa affissione sul viale principale del mio paese.
Come detto, il tema dell’aborto non è quello che mi interessa. Invece vi invito a chiedervi cosa sta succedendo qui a livello comunicativo, anzi semiotico? Magari per deduzione potremo comprendere il funzionamento complessivo della woke!
Partiamo dal contenuto testuale in risalto: “Difendiamo il diritto di non abortire!”. Non so se ricordiate la terribile efficacia delle fallacie (nel caso negativo potete rileggere questo) ma, tenetevi forte, nel cuore di questo slogan c’è una menzogna: non esiste il diritto di non abortire. Non fare qualcosa non è un diritto, potrebbe al massimo essere un divieto. Sarebbe come dire che avete il diritto di non fumare, o il diritto di non essere vegetariani, o, tenetevi fortissimo, il diritto di non avere figli!
Attraverso l’utilizzo di termini ed espressioni mutuate dalla sfera semantica del conflitto come “difendiamo” (noi chi?), come “diritto”, come la negazione di un verbo negativo, e perfino come il punto esclamativo finale, il creatore del messaggio esaspera i toni e militarizza la forma con il solo intento di alimentare una tensione priva di reale contenuto. E questo messaggio aggressivo è accostato, in una forma grottesca di contrasto, ad alcuni volti inespressivi di giovani donne su campi colorati in tonalità giocose e distensive.
Come il fratello Mario di Rino Gaetano, chi vi scrive “è convinto che anche chi non legge Freud può vivere cent’anni” ma ha comunque letto Freud, e sa riconoscere un disgustoso atteggiamento passivo-aggressivo quando lo vede.
Assumiamo per un attimo che questa disposizione caratteriale sia una cifra della comunicazione woke e vediamo se ritorna in altri esempi. Be’, gli amici di Davos hanno ideato questa (vedi foto accanto). Non so a voi ma “Non possederai nulla” a me suona abbastanza minaccioso, anche se mai terrificante come il “E sarai contento” che lo segue. A proposito di passivo-aggressivo.
Quale strategia accomuna i due messaggi? In entrambi i casi viene impartita una direttiva, un ordine, “un’offerta che non si può rifiutare” (cit.), e in entrambi i casi il tono autoritario è edulcorato con elementi rassicuranti e mistificanti. In entrambi i casi l’ideatore del messaggio cerca di fare leva su temi e sentimenti basici, come la vita, la felicità, i bambini, la famiglia e la sopravvivenza economica per spostare in modo indolore la scala dei valori (si chiama finestra di Overton! E sarai felice.) dei destinatari e fare convergere i loro desideri e i loro risentimenti verso oggetti funzionali al proprio vantaggio.
L’intento della woke parrebbe creare barocche istanze sociali ancorandole a minoranze e diritti talmente di nicchia da dover contestualmente anche creare una coscienza comunitaria interna e poi sfruttare le rivendicazioni della minoranza appena creata per raccogliere consenso e, posso immaginare, dirottare l’attenzione pubblica da altri temi. A me che sono semiotico questo modo di fare ricorda un’altra cosa: il mito. La funzione del mito – e anche la religione è mitologia, vale la pena ricordarlo – è quella di creare una narrazione “sopra” una verità fattuale o storica che svolga una funzione legittimante ex ante a vantaggio di un gruppo o di un’autorità nel presente. Più semplicemente, ci si procura una giustificazione per le proprie azioni facendola derivare da un menzogna su un passato abbastanza passato da non essere verificabile.
In presenza di un processo di mitopoiesi, cioè creazione di un mito per i coevi, il semiotico può star sicuro almeno di una cosa: c’è una scomoda verità fattuale, storica o naturale, che deve essere obliterata affinché il popolo accetti di subordinarsi a qualche ordine o sistema di potere.
RISALENDO FINO AL CUORE OSCURO
Seguendo il corso di questo ragionamento e assumendo le due ipotesi precedenti che a) la woke sia un dispositivo narrativo ingannatorio atto a controllare l’opinione pubblica e b) condivida con il mito una funziona mistificatoria e distraente da una verità scomoda, la domanda che sorge spontanea, almeno a me, è qual è la verità oggettiva la cui dissimulazione è stata affidata alla woke?
Ho pensato quindi di andare a ricercare dove e quando la woke è comparsa e mi sembra corretto individuare negli USA e nella loro storia, fin dalle origini, il momento storico in cui è sorta la possibilità del pensiero woke, il sentimento embrionale da cui si svilupperà il concetto stesso.
E la verità che nasconde.
Mi sono detto: se la woke è continuamente dedita a creare minoranze, a frammentare la comunità e a dividere l’opinione pubblica, in nome dell’uguaglianza e della democrazia, allora forse proprio l’uguaglianza e la democrazia sono i due miti di cui si cerca di nascondere la reale origine?
Forse quest’insistenza di facciata sull’uguaglianza tra tutti i cittadini e l’importanza della democrazia serve proprio a nascondere il fatto che non siamo in presenza di una vera uguaglianza, di un autentico sistema democratico? Forse la funzione del mito della “terra della libertà” in cui ognuno di “noi, il popolo” è libero di compiere la propria “ricerca della felicità” è una menzogna? Forse la funzione della mitologia woke è proprio quella di farci credere, ma solo credere, di vivere da individui “risvegliati” liberi in uno Stato libero di fratelli e sorelle pari a noi.
Proseguo la risalita: quale tipo di persona avrebbe interesse a che il popolo creda di essere composto di individui liberi e uguali in diritti senza però esserlo in realtà? Per come la vedo io, l’unico tipo di persona che si può avvantaggiare da una narrazione del genere è proprio chi si arroga più diritti e libertà del popolo, e cioè i potenti del mondo, i padroni. Ed ecco che mi ritrovo alla sorgente di tenebra del mito, dove un gruppo di immigrati fanatici religiosi fugge dall’Inghilterra per impossessarsi senza diritto di una terra straniera sterminando i nativi e appropriandosi di tutto in nome della… più grande democrazia del mondo futuro.
Benvenuti nel cuore oscuro della woke, benvenuti negli USA.
DisSENSO ha scelto la piattaforma KO-FI per autofinanziarsi grazie a voi.
Al link ko-fi.com/dissensoresistenzasemantica è possibile eseguire una donazione estemporanea, effettuare una donazione ricorrente, sottoscrivere un abbonamento mensile e anche acquistare a prezzo simbolico materiali e contenuti pertinenti.
Grazie per il tuo prezioso dissenso.